«Un anno drammatico per la regione. Occorre rialzarsi»

«SPERIAMO che il nuovo anno ci porti qualcosa di positivo, anche perché peggio di così è difficile: il 2023 è stato un disastro. Ci auguriamo di avviarci verso un bilancio positivo, perché un’altra annata così significherebbe mettere a terra completamente tutta l’agricoltura regionale». Alessandro Taddei, presidente di Cia Marche, traccia un bilancio a luci e ombre, con un tono piuttosto pessimistico rispetto alle prospettive che attendono la regione.

Presidente Taddei, ci racconti di più.

«Abbiamo avuto perdite importanti e parecchi associati hanno deciso di chiudere. Molte aziende visto che c’è una propensione per fotovoltaico e agrivoltaico danno terreni in affitto perché, alla fine dei conti, così si guadagnano di più. Offrono quasi a settemila euro a ettaro e sfido chiunque a trovare qualcosa di più vantaggioso. Stiamo perdendo forti quote di agricoltori, in sostanza».

Di che dimensione parliamo?

«A livello nazionale abbiamo perso quasi 20mila aziende. Quindi, ripeto, con un altro anno come questo, se perdiamo un’altra quota del genere, non c’è più molto da fare. Quegli agricoltori che ancora nutrono un po’ di amore e devozione per questo mestiere sono tra i pochi rimasti, ma con queste aspettative parecchi rinunciano. Noi siamo una delle regioni che innegabilmente ha sofferto di più perché, per fare solo, un esempio l’Abruzzo ha avuto grossi problemi con la vite, come noi, mentre con le olive sono andati discretamente bene. Non parliamo dell’Emilia-Romagna colpita dall’alluvione, ma che sui dati della viticoltura nel ravennate vede un +15%».

Nelle Marche i numeri cosa raccontano?

«Da noi le aziende biologiche hanno perso il 60 o il 70, in alcuni casi anche il 100%. Da altre parti qualcosa è andato bene, qualcosa è andato male. Nelle Marche è stato davvero un disastro. Se guardiamo anche all’oliva, vediamo che le zone del pesarese si attestano sullo zero completo. Poi magari nell’ascolano qualche segna positivo c’è stato, però troppo a macchia di leopardo. Il 70% di chi produce olive non ha avuto prodotto e i frantoi hanno finito per chiudere con un mese di anticipo. Qualche associato è venuto da noi per dire: ‘Erano anni che non chiudevo a novembre’».

Quali altri nodi hanno complicato la situazione?

«C’è stato un fenomeno di speculazione. Qualcuno si è affacciato verso la Puglia per vedere che aria tirava e per vedere se c’era da recuperare qualcosa: i prezzi sono raddoppiati».

Gli altri comparti?

«Male, anche in altri segmenti. All’inizio le piogge si sono abbattute su chi produce fieno: un sacco di aziende hanno preso e trinciato il prodotto. L’hanno buttato via senza raccoglierlo. Le Marche sono la terza regione cerialicola italiana e abbiamo importanti produttori di fieno per i mercati arabi. Se va male anche il settore del fieno, è davvero un bel colpo: ci sono stati appezzamenti di grano che hanno prodotto 7 quintali a ettaro, di solito erano 30 o 40. L’ultimo anno qualcuno aveva toccato i 60 ed era andata meglio».

Per quanto riguarda le materie prime?

«Sono aumentate. E quest’anno uscita nuova Pac che, di fatto, non è altro che un integrazione al reddito. Danno un contributo per tenere i prezzi più calmierati possibili. Quest’anno nuova politica agricola comunitaria ha messo forte difficoltà le aziende, ci sono stati cali da un minimo del 30 al un massimo del 60%. Eppure, trattandosi, non può neanche considerarsi una perdita. Qui sta il gioco: è un incentivo per evitare che i prezzi vadano alle stelle».

Cosa bisognerebbe fare, secondo lei?

«Il discorso è che se io sono un agricoltore, a meno che si tratti di un trasformatore che produce vino e decide se la bottiglia vale 5 o 10, devo attenermi ai prezzi della Borsa di Bologna. Quindi c’è bisogno di concedere più libertà e autonomia quando arrivano da Bruxelles per tagliare i contributi parlando di green. E parlano di riuso».

Su questa cosa pensa?

«Noi siamo uno Stato strutturato per il riciclo, ora l’Europa vuole imporci il riuso. Bisogna che qualcuno mi spieghi come sia possibile riutilizzare le bottiglie per chi produce vino».

Come intendete agire come Cia?

«Noi a livello nazionale abbiamo presentato uno studio alla Comunità economica europea. Qualche Stato che era completamente a favore verso il riuso sta cominciando a dire che forse abbiamo ragione. Dall’Europa arrivano direttive che non rispecchiano la realtà. In più ora ci si è messo il governo che con la nuova Finanziaria vuole tornare a tassare il reddito agrario. Significa tassare la terra, che per un agricoltore è il lavoro. Sono 20 anni che lottiamo per questa cosa e non è possibile che si arrivi a ciò. Ci si riempe la bocca di sovranità alimentare, Made in Italy, poi però arrivi e mi tassi la terra dove lavoro e cerco di tirare fuori il mio reddito a fatica. Anche qui è iniziata una bella lotta perché non è possibile».