Davide Servadei, presidente di Confartigianato Emilia-Romagna,

«Il virus ha mostrato il valore della filiera»

«Siamo ottimisti, e siamo in trincea ». Davide Servadei, presidente di Confartigianato Emilia-Romagna, vuole credere nel 2022. Il mondo artigiano, spiega «è con la testa concentrato sul lavoro, per uscire dal pantano del Covid». Il problema, semmai, «è che chi ha il timone in manor ci creda perlomeno quanto noi».

Servadei, partiamo dall’inizio: che anno è stato il 2021?
«Un anno comunque positivo. Ma, appunto, serve un ’comunque’ ».

Partiamo da quello che è andato bene.
«La meccanica è ripartita, il biomedicale non si è mai fermato, le costruzioni hanno vissuto il loro grande momento, il Made in Italy e il settore artistico hanno avuto performance molto simili a quelle pre-Covid. E poi c’è il rapporto con la grande industria ».

Ce lo racconta?
«Le filiere in questo ultimo anno sono cambiate molto, ed è cambiato il modo di lavorare insieme. Le grosse aziende hanno capito che se si fermano i piccoli e medi fornitori artigiani è la fine anche per loro, e hanno smesso di usarci come cuscinetto, scaricando a noi i costi, i magazzini e tutto il resto. Adesso tutti, anche la Regione, hanno smesso di parlare di settori per ragionare di filiera, e questo è un elemento molto positivo per noi».

Veniamo a quel ’comunque’.
«È un coro già sentito, ma purtroppo è drammaticamente vero. Il Covid ha aumentato i problemi ma non ha dimuito la burocrazia, anzi l’ha aumentata, E poi c’è il tema energetico, una mazzata incredibile, se mi passa il termine».

Arriveranno degli aiuti.
«Saranno importanti, ma dopodiché io spero che si passi ad azioni strutturali. Meglio agire a lungo termine che preferire cifre a effetto, di impatto immediato ma senza visione».

Se parla di cifre a effetto viene facile pensare al Bonus 110% per l’edilizia.
«Uno strumento utile, ci mancherebbe, ma forse eccessivamente figlio di una stagione populistica. L’iniziativa del governo ha scosso il mondo delle costruzioni dalle fondamenta, lanciato una corsa sfrenata ai cantieri, costringendo aziende fiaccate da anni di crisi a reperire personale in fretta per cogliere l’occasione e partecipare all’abbuffata. Ma poi, che succederà? Non sarebbe stato meglio, mi chiedo, puntare a un Bonus 60% ma spalmato su dieci anni? Quello sì che avrebbe creato sviluppo e stabilità del settore».

Faceva accenno al personale. Trovarne è ancora difficile?
«Sì, perché il Covid ha fermato anche la formazione, e ha congelato nuovi sistemi che avevano dimostrato finalmente di funzionare, come il sistema duale e l’alternanza scuola-lavoro. Un problema doppio, perché manca la forza lavoro e mancano le competenze per affrontare le sfide della digitalizzazione, dell’informatizzazione e di un certo sviluppo tecnologico che oggi coinvolge anche le realtà più piccole. Anzi, diciamola tutta: spesso è proprio l’azienda artigiana a far partire l’innovazione ».

Perché a brevettare allora sono sempre le grandi?
«Colpa di una legislazione che fino ad ora ci precludeva molte strade, e che per fortuna sta cambiando. L’Unione Europea ha finalmente aperto le porte del mondo dei brevetti ai più piccoli, prevedendo anche degli aiuti economici per strutturarsi e affrontare la sfida. Ecco, queste sono le misure più preziose per noi».

A proposito di innovazione: il risvolto positivo della pandemia è un’accelerata nei confronti dei canali digitali. Una spinta che ha coinvolto anche gli artigiani?
«Sì, per fortuna. Molti nostri artigiani hanno capito che Internet non è solo un antagonista, e che non esiste solo Amazon. Hanno così iniziato a vendere i loro prodotti. Molti settori tradizionalissimi, penso addirittura alla pesca, hanno trovato la loro strada online. è stato uno sforzo non da poco, perché ha voluto dire aprirsi aun mondo nuovo e dotarsi degli strumenti idonei. Penso al packaging dei prodotti, che prima per le aziende artigiane di filiera non esisteva. In più molti nuovi artigiani digitali sono nati invece ex novo proprio con la pandemia».

Allo sviluppo digitale avranno pensato anche le imprese di montagna, prima di accorgersi che a loro, senza banda larga, è precluso.
«Il tema della montagna è cruciale da affrontare. Vede, fino ad ora, le imprese di montagna scontavano il problema dei trasporti merce più lunghi e tortuosi e il doversi alzare presto a spalare l’uscio dell’azienda in inverno. Oggi i problemi sono ben altri: servono infrastrutture digitali per competere, e se non ci sono è impossibile tenere il passo.

Con il virus sono arrivate le quarantene, e le piccole e medie aziende artigiane hanno avuto il loro bel da fare. È così? O la proverbiale flessibilità del mondo artigiano ci ha messo una pezza?
«Le pezze le abbiamo finite. Abbiamo una media di quattro dipendenti per impresa. Capirà bene che se due rimangono a casa, l’attività è dimezzata. L’artigiano, prima di tutto questo, pur di non fermarsi avrebbe lavorato con la febbre. Nel bel mezzo di una pandemia ovviamente non si può. Bisogna fermarsi. E fermarsi, con quelle dimensioni, vuol dire fermarsi».

Questo ha inciso sul numero delle aziende?
«No, per fortuna. Siamo rimasti stabili, attorno alle 40mila imprese in regione. I numeri hanno tenuto, c’è stato un buon ricambio: molte nuove iscrizioni a bilanciare le chiusure. E chi è rimasto ha buoni conti, possiamo dirlo, gestendo la contabilità dei nostri iscritti. Il sistema artigiano ha tenuto, nonostante il virus e la politica. Ora si tratta di sostenerlo nella crescita.