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«Le persone al centro. La crescita nasconde iniquità»

Il segretario generale della Cgil Lombardia Alessandro Pagano e le sfide da affrontare. Dal lavoro povero alla piaga degli infortuni
di Andrea Gianni

«Mettere le persone al centro delle politiche: questo deve essere l’obiettivo per il 2024. Deve valere per la piaga degli infortuni sul lavoro, per il sociale, per l’occupazione e per gli altri ambiti». Il segretario generale della Cgil Lombardia, Alessandro Pagano, guarda alle prossime sfide da affrontare in una regione che si muove fra luci e ombre.

Pagano, gli ultimi dati sull’economia delineano una frenata dopo la ripresa. Di fronte a numeri positivi sull’occupazione emerge anche il largo ricorso a contratti di lavoro precari. Qual è la sua lettura?

«Abbiamo settori, come l’industria, che pur offrendo posti di lavoro stabili fanno fatica a trovare personale. In altri ambiti, come le grandi reti commerciali, è ormai strutturale un’organizzazione del lavoro basata sul part time. E il mercato del lavoro è sempre più selvaggio. Bisogna guardare oltre la superficie dei numeri, per capire se all’aumento degli occupati corrisponde un aumento delle ore lavorate e un aumento del lavoro di qualità. La risposta è negativa, questo ci deve far riflettere. Si vedono segnali di una prima flessione: non bisogna allarmarsi ma non è neanche il caso di festeggiare».

In una regione che anagraficamente invecchia resta ancora alto il numero dei Neet, giovani che non studiano e non lavorano. Come sfruttare questo potenziale inespresso?

«L’aumento dell’occupazione giovanile è dovuto al fatto che, purtroppo, i giovani sono sempre di meno. Servono politiche mirate sull’inserimento nel mondo del lavoro dei Neet, ma questo non basta per far fronte alle richieste delle aziende. Bisogna considerare l’immigrazione come un’opportunità, lavorare per l’integrazione e per l’inserimento nel mondo del lavoro incrociando le esigenze delle imprese. Invece continuiamo a sentire ragionamenti politici che vertono solo sulla sicurezza».

Diversi imprenditori in passato hanno puntato il dito sul reddito di cittadinanza per le difficoltà nel trovare personale. C’è stata la stretta sul sussidio, ma il problema è rimasto.

«É ridicolo sostenere che in una regione come la Lombardia, con il costo della vita che sperimentiamo tutti, una persona possa vivere con un sussidio, evitando di lavorare. Fa già fatica ad arrivare a fine mese chi lavora, figuriamoci chi un lavoro non ce l’ha. I fattori sono altri».

Qual è il vostro giudizio sull’autonomia differenziata?

«Sicuramente è negativo, perché mette a rischio l’unità nazionale e la tenuta di diritti di base con una accelerazione verso processi di privatizzazione che, oltre alla sanità, finiranno per riguardare anche la scuola, a fronte di benefici solo millantati. Noi ci attiveremo per contrastarla».

Come si sta muovendo la Regione, a vostro giudizio, sul fronte del lavoro e delle politiche industriali?

«Sul mercato del lavoro, ad esempio nel caso di crisi aziendali, stanno dimostrando di saper agire rapidamente e con una certa efficacia. Quello che manca, però, è una connessione fra questo aspetto e una strategia industriale. Gli assessori Guidesi e Tironi hanno proposto ai sindacati di lavorare insieme sul mismatching fra domanda e offerta di lavoro, per studiare possibili soluzioni. Sarebbe una bella occasione, il problema è che non si è ancora passati dagli annunci ai fatti concreti».

Dall’inizio dell’anno si sono già registrati morti sul lavoro in Lombardia. Nonostante campagne e annunci, sui luoghi di lavoro si continua a perdere la vita. Come intervenire?

«Non si riesce ad aggredire questo inaccettabile prelievo di vite umane perché forse è sbagliato l’approccio e il sistema va messo in discussione. Servono i controlli, ma bisogna lavorare di più sulla prevenzione. Si parla di formazione del lavoratore, mentre non sento discorsi sulla necessità di un intervento preventivo su chi ha il compito di organizzare il lavoro, cioè l’azienda. L’analisi del rischio dovrebbe mettere al centro la persona, premiando anche chi dimostra di saper mettere in campo un’organizzazione del lavoro virtuosa».