Il lavoro c’è ma è precario. Incentivi per chi crea posti stabili

«L’occupazione sta tenendo, così come il sistema produttivo: il problema è la qualità del lavoro. Servirebbero incentivi per le imprese lombarde che creano posti di lavoro stabili, altrimenti il sistema rischia di diventare sempre più precario».
Alessandro Pagano, segretario generale della Cgil Lombardia, rivolge l’appello ai candidati in corsa nelle elezioni Regionali, in un territorio al bivio fra ripresa e nuove incognite all’orizzonte. Pagano, qual è la sua fotografia della Lombardia dal punto di vista dell’occupazione?
«Il sistema lombardo ha retto di fronte all’impatto della pandemia e della crisi energetica, alla guerra in Ucraina e all’aumento dei costi delle materie prime. Anche il ricorso alla cassa integrazione è tornato a livelli normali, rispetto al picco durante la pandemia. Il 2023, però, è ancora tutto da decifrare. È difficile fare previsioni. Se i numeri in generale sono positivi, non si può dire lo stesso sulla qualità del lavoro».
Avete registrato un peggioramento?
«Ormai otto persone su dieci vengono assunte con contratti a termine o con altre forme di contratti precari. Questo dato, per noi, è preoccupante. Consideriamo poi che il largo ricorso ai contratti a termine avviene anche in settori, come l’industria, che sono meno soggetti a oscillazioni rispetto ad altri. Significa che non c’è una vera necessità, ma piuttosto la spinta a sfruttare un’opportunità che viene concessa da anni di precarizzazione del mercato del lavoro».
Quale ruolo potrebbe giocare la Regione in questo scenario?
«Finora la Regione si è sempre dimostrata aperta all’ascolto delle proposte dei sindacati, è mancata però la capacità di indirizzare le risorse in maniera strategica. In questo modo la Lombardia resta la “locomotiva d’Italia“ ma arretra rispetto agli altri “motori d’Europa“. Pur creando valore, lo crea su settori sempre più deboli e precari. Gli sforzi sono mirati ad affrontare le dinamiche della perdita del posto di lavoro e della riqualificazione, quando invece si potrebbe fare di più sul fronte degli incentivi alle imprese che creano posti stabili e a tempo indeterminato, anche a beneficio della coesione sociale. La Regione potrebbe fare la sua parte sfruttando gli strumenti a disposizione, pur essendo il tema del lavoro di competenza del Governo».
Nel referendum consultivo del 2017 la maggioranza dei cittadini andati alle urne si è detta favorevole all’autonomia della Lombardia. Ora c’è una accelerazione del Governo sull’autonomia differenziata. Qual è la vostra posizione?
«Noi siamo fermamente contrari all’allargamento dell’autonomia regionale, visto che nella sanità i risultati dell’autonomia sono pessimi. La scuola, in particolare, non va toccata. Con l’autonomia differenziata si rischierebbe di creare una nuova centralizzazione, ma questa volta a livello regionale».
Preoccupa l’aumento del costo della vita e della casa, soprattutto considerando i salari che non crescono. Un problema che si avverte a Milano ma anche nelle province lombarde.
«Il problema dei salari è una vera urgenza, come sindacato chiediamo da tempo di agire sulla contrattazione collettiva. Se con i salari correnti non si copre neanche l’esigenza minima dell’abitare significa che c’è qualcosa che non va. La teoria che il mercato può risolvere tutto ha creato solo disuguaglianze e vantaggi per chi non ha bisogno di essere avvantaggiato. Per questo insistiamo sulla necessità di politiche pubbliche, di una redistribuzione fiscale giusta e fatta non solo di bonus o interventi spot. La risposta è sempre nell’azione pubblica. Bisogna prendere risorse dall’evasione fiscale per ridurre le disuguaglianze, prendere sul serio la riconversione in un sistema economico più amichevole per le persone e per l’ambiente, altrimenti il mercato continuerà ad approfittarne. Questo vale per il governo nazionale, ma anche per i governi regionali, indipendentemente da chi vincerà le elezioni».