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Il Mediterraneo torna centrale: è un’occasione

Un 2024 con prospettive interessanti per il presidente «Ma vanno usati bene i fondi europei e in cima alla lista delle priorità c’è la logistica»

Stringere i rubinetti, ridurre le perdite e dare da bere a chi ha sete. Ettore Prandini, bresciano, presidente Coldiretti dal 2018, alla testa di un milione e 600mila agricoltori, ha fatto della vitalità e della concretezza due stelle polari dei suoi mandati. Spesso sotto i riflettori, per dar voce al mondo dell’agricoltura.

Presidente, cosa porta agli agricoltori il 2024?

«Situazione con prospettive interessanti nei mercati internazionali dove agroalimentare e filiera possono crescere ancora in modo significativo: penso sarà l’anno decisivo nell’utilizzo delle risorse e nell’individuare piani strategici legati ai fondi del Pnrr. Fondamentare intervenire sul sistema della logistica che in questo momento è un freno alla crescita economica. Perdiamo 90 miliardi l’anno su tutte le filiere, sull’agricoltura 9 miliardi. Da qua dobbiamo ripartire. Ci sono lacune da colmare per mettere in condizione le imprese di creare valore e quindi occupazione. Le priorità sulle quali investire sono trasporto in alta velocità per le merci e trasporto marittimo nell’ottica di un ritorno alla centralità del Mediterraneo».

Più volte lei ha denunciato i danni fatti al vero made in Italy dall’ Italian sounding. A che punto siamo nella battaglia contro le falsificazioni sui mercati esteri?

«Questo fenomeno causa ancora una perdita significativa, stimata in oltre 120 miliardi all’anno, il valore dei prodotti contraffatti come italiani e venduti nel mondo. Ma sono convinto che questa sia anche una opportunità, se sapremo cogliere le sfide della conoscenza dei mercati internazionali per posizionare il vero prodotto italiano. Avremmo un milione di posti di lavoro in più e una crescita significativa. In quest’ottica, la riforma europea sulle Ig (indicazioni geografiche) è un buon segnale, almeno nel contesto degli Stati membri dove non potranno più essere contraffatte le nostre Dop, col divieto di utilizzo e storpiatura delle nostre denominazioni. Se riusciremo a inserirlo negli accordi di libero scambio diventerà ulteriore elemento di chiarezza sul mercato. Spetterà al consumatore scegliere, in massima trasparenza».

Come rilanciare i consumi interni dopo questi ultimi tre anni di inflazione alta?

«Farei una netta distinzione fra l’inflazione che ha colpito Europa e l’inflazione statunitense. La parola è la stessa, le motivazioni opposte. Noi come sistema dovremmo cercare di rispondere contenendo i costi che le nostre aziende subiscono, in primis nella filiera energetica dove – prima con il Covid e poi con la guerra – abbiamo evidenziato le nostre fragilità dovute al fatto di esserci accontentati di acquistare energia da altri Paesi. Nei prossimi anni questo modello non si può replicare, dobbiamo affrontare con lungimiranza la sfida sulle rinnovabili e la nuova frontiera del nucleare di ultima generazione, che ci può portare a colmare le necessità del Paese. Sia dal punto di vista dei cittadini, sia da quello delle imprese».

Una delle sue battaglie del 2023 è stata quella contro la carne sintetica, da laboratorio. Lo stop a questo tipo di carne coltivata sta creando più di una polemica. Nel 2024 teme il ritorno di fiamma per questo tipo di creazioni?

«“Prodotto a base di cellule staminali“, così viene definita la carne sintetica. In questa polemica noto la netta differenza tra chi vede solo il valore economico in ciò che si fa e chi – come noi – mette al centro la salute dei cittadini. Non diciamo “no“ a priori, diciamo però che queste tipologie di prodotti hanno alla base ormoni e non è giusto che i cittadini siano usati come cavie umane. Finora le staminali sono usate solo in medicina, per noi questi prodotti non sono cibi ma vanno equiparati alla filiera farmaceutica. Quando avremo evidenza che non fanno male, allora ne discuteremo. Ma bisogna pure valutare la possibile perdita della nostra filiera tradizionale, italiana, rispetto a una filiera produttiva che verrebbe sviluppata tutta in altre parti del mondo. Bill Gates sta già procedendo a cercare di ottenere i brevetti su questo tipo di prodotti, con investimenti e potenzialità ineguagliabili in Europa».

Non può essere la soluzione contro la fame nel mondo, come dicono tanti?

«A chi mi dice che “bisogna sfamare le popolazioni vista la crescita demografica in alcuni Continenti”, rispondo che ci dovremmo concentrare nel formare queste popolazioni, in primis in Africa, per far sì che i troppi terreni lasciati incolti vengano coltivati, per creare le condizioni di arricchimento per quelle popolazioni. Da che mondo è mondo, è sempre stata l’agricoltura a dare la possibilità di riscatto alle popolazioni. Così riusciremo anche a contenere il fenomeno migratorio».

Il suo voto al Governo Meloni?

«Non posso che giudicare positivamente il lavoro del Governo Meloni. E non voglio ridurre la mia analisi solo alla questione del divieto dei prodotti creati in laboratorio, visto che ha risposto a una istanza nostra sì, ma anche di oltre 2mila Consigli comunali e di 2 milioni di cittadini che hanno firmato la petizione per chiedere di normare il divieto della commercializzazione, si badi bene non della ricerca. Richiesta sacrosanta, al di là di ogni colore politico. Valuto anche il gran lavoro che il Governo sta facendo nel contesto europeo e per i fondi del Pnrr. Grazie al confronto con i ministri competenti abbiamo aumentato la dotazione di circa 3 miliardi, in gran parte usati per filiere produttive e con il 5.0 sono state incrementate le risorse per le imprese che vogliono innovare. E ancora: la dotazione aumentata per il comparto delle energie rinnovabili, in particolar modo del fotovoltaico. Lavoro importante, c’è ancora molto da fare per le sfide europee sempre più frequenti, per arginare le derive di finto ambientalismo. E per evitare che cibi ultra-processati prendano il sopravvento sul cibo sano, penso all’etichettatura “semaforo“ o al sistema Nutriscore. Piuttosto serve una etichetta intelligente che, senza demonizzare nulla, evidenzi le corrette quantità di assunzione del cibo».

C’è un fenomeno strutturale di maggiore attrattività dei campi e delle aziende agricole sui nostri giovani o è stata una moda passeggera?

«Per fortuna registriamo la crescita costante del numero di imprese gestite da giovani, ma dobbiamo impegnarci a far sì che ci sia più attenzione ai temi della formazione professionale con i nuovi strumenti a disposizione: uso dei dati, agricoltura di precisione, qr code sulle confezioni e blokchain per certificare i passaggi della filiera. Riusciremo ad attrarre ancor più giovani se saremo in grado di distribuire in modo più equo il valore della filiera. Spesso si parla di cibo e si dice: “Costa troppo”. Invece c’è poca attenzione al tema dello spreco e a ciò che non viene valorizzato in modo corretto. Insisto sul principio della reciprocità: giusto spingere le imprese europee e a maggior ragione in Italia a non usare prodotti fitosanitari, giusto evitare pesticidi che mettano a rischio la salute dei cittadini, giusta la battaglia frontale contro il capolarato. Ma se tutti questi valori e controlli non vengono svolti allo stesso modo quando importiamo prodotti da Paesi che queste regole che non le hanno mai rispettate, allora il sistema non funziona. Si chiama concorrenza sleale. Una dinamica ingiusta che rischia di appiattire i prezzi nella filiera. Perché il nostro sistema, più attento, genera costi maggiori». Ottimista per il futuro? «Ottimista, come imprenditore ancor prima che come rappresentante di un comparto straordinario. E guai a non essere ottimisti perché vuol dire consegnarsi a chi sogna una decrescita felice. Io non ci credo, per me la decrescita non è mai felice, ma genera solo povertà, strappi e tensioni nella società».