Prospettive tiepide. Solo la fine delle guerre porterebbe alla svolta

La frenata si è avvertita chiara, ora non resta che sperare nella sterzata giusta per riprendere a correre. Ma molteplici sono le variabili, e tante non dipendono dal sistema Italia. Giovanni Bozzini, presidente di Cna Lombardia, guarda con disincanto al cielo gonfio di nuvole. Ma spera ancora nel sole. Il 2023 non si è chiuso benissimo, tra venti di guerre, tensioni inestricabili e la frenata tedesca.
Con quali prospettive si apre il 2024?
«Le prospettive per l’economia italiana e lombarda per il 2024, alla luce del contesto attuale e dei dati a disposizione, sono tiepide. Tiepidi gli investimenti rispetto al rimbalzo post-Covid del 2021/2022; intiepidito e tiepido l’export rispetto al biennio successivo alla pandemia che ha visto un rimbalzo e il sostanziale recupero rispetto alle posizioni del 2019, pre-pandemiche; tiepido l’export su alcuni settori molto collegati alla Germania. L’andamento del costo del denaro e dell’inflazione concorrono a raffreddare gli “spiriti animali” dell’economia italiana e lombarda, dovremo attendere notizie migliori su quel fronte per sperare che anche sul profilo generale dell’economia le cose migliorino. Senza dubbio una prospettiva di pace in Medio Oriente, intorno al canale di Suez ma soprattutto in Europa orientale, avrebbe un impatto straordinariamente positivo sulla ripresa di una serie di relazioni commerciali e quindi sugli scambi economici e gli ordini per molti nostri settori».
Capitolo inflazione alta. Cosa proponete di fare per frenare la corsa dei prezzi?
«L’inflazione resta troppo alta. Non ci sono misure particolari che il Governo può adottare, soprattutto in un contesto in cui la Banca Centrale Europea ha operato una misura anti-inflazionistica molto pesante rispetto agli interventi sul costo del denaro. Certo, se guardiamo alle voci nelle quali l’inflazione ha pesato moltissimo sui conti di famiglie e imprese – penso all’energia –, il Governo avrebbe potuto fare di più per calmierare i prezzi e costruire una via più celere, insieme all’Europa, all’autonomia energetica. Ci ha lasciato molto freddi anche il sostanziale dietrofront del Governo sul tema delle banche e degli extraprofitti».
Il punto sul Pnrr. I fondi si stanno usando bene o rischia di essere uno spreco?
«Sul Pnrr ci risulta che dopo un periodo di grave e prolungata incertezza si stia arrivando a un clima di maggiore chiarezza rispetto al loro uso. Il Paese si sta settando sui giusti obiettivi strategici, continuiamo a registrare viva preoccupazione sulle capacità di spesa degli enti locali e la mole di lavoro che gli enti locali rischiano di trovarsi addosso senza capacità di gestione adeguata. Quello che ci sentiamo di chiedere sia alla Regione, sia al Governo è di aiutare il più possibile i Comuni su questo fronte, sapendo che in Italia ci sono città metropolitane, comuni grandi, capoluoghi di provincia, piccoli e micro Comuni, non tutti hanno l’attrezzatura tecnica in competenze e risorse umane sufficiente alla gestione del Pnrr».
Le vostre imprese sono supportate abbastanza dalle istituzioni?
«Le imprese in Italia sono supportate dalle istituzioni senza dubbio dal punto di vista dell’ascolto rispetto alla loro rappresentanza di interessi e dal punto di vista anche dei disegni dei provvedimenti di policy e di legislazione. Il grave problema del Paese non è la mancanza di ascolto delle imprese da parte delle istituzioni, ma poi in sede di attuazione la capacità di tutto il corpo istituzionale di produrre provvedimenti attuabili. Citerei l’esempio del Superbonus: tutto sommato era anche sbilanciato a favore dell’utenza privata e anche, in un certo senso, del volume di attività imprenditoriale che si poteva generare. Il problema poi è stato in seno alle tecnostrutture che fanno capo all’amministrazione centrale dello Stato, al Governo. È lì che il meccanismo ha grippato spingendo poi il Governo ai 34 cambi del provvedimento. Alle istituzioni chiediamo ascolto, ma poi coerenza in sede di attuazione, capacità di mettere a terra le cose in modo pratico, praticabile, pragmatico, lineare. C’è un enorme problema di burocrazia e se volete anche di un approccio tutto giuridico alle cose e mai imprenditoriale in questo Paese».
Il ministro Valditara ha detto che in Lombardia mancano 30mila tecnici. Come migliorare l’incrocio fra domanda e offerta? E il liceo del made in Italy?
«Stiamo seguendo con interesse le iniziative del ministro. Sul liceo del made in Italy siamo curiosi, altresì convinti che una cosa così importante, da cui potrebbero discendere risposte molto positive per il nostro mondo, vada discussa con i diretti interessati, cioè con le rappresentanze di imprenditori e lavoratori, per noi è fondamentale. Abbiamo la sensazione che sia una proposta un po’ vaga, necessita di approfondimenti».
Capitolo giovani imprenditori: vede in loro la stessa determinazione dei genitori?
«Se noi guardiamo alle giovani generazioni degli imprenditori, per esempio ai nostri soci, siamo fiduciosi. Si tratta di giovani determinati e ben focalizzati sui trend del mercato, quindi sulle capacità di accompagnare le tendenze del mercato globale, pur rivendicando una specificità di prodotto e di qualità del made in Lombardy e del made in Italy. C’è un grosso problema, però: il numero degli imprenditori che entrano nell’arena del mercato è ridotto rispetto a qualche decennio fa. Chi lo fa, lo fa con la stessa determinazione dei padri e dei nonni, il problema è che sono pochi a farlo e qui giocano fattori sia ambientali, di contesto burocraticoamministrativo scoraggiante, sia fattori culturali. Purtroppo ad oggi molti figli di imprenditori del mondo della piccola impresa possono avere la tentazione di schivare un’attività redditizia ma faticosa in termini di tempo, fatica, incertezza psicologica, ecc. rispetto a una più comoda sistemazione in altri settori magari governati da grandi imprese, dove possono magari ambire a fare i quadri, i dirigenti di multinazionali. Qui c’è un problema: noi siamo convinti che per la loro realizzazione la piccola impresa, l’artigianato, possa fare ancora tantissimo e che in un Paese diverso sarebbe più facile crescere dal punto di vista dimensionale e portare i valori dell’artigianato in una dimensione piccola, strutturata o media da parte dei figli rispetto alle attività dei padri».
Sentite già i primi effetti dell’abolizione del reddito di cittadinanza?
«A uno sguardo più freddo, il reddito di cittadinanza investiva più la sfera dei sussidi sociali che delle politiche attive del lavoro. Bisogna tenerne conto nella riflessione sullo strumento e separare per bene le cose».