«Siamo ancora condizionati dai fattori geopolitici»

«ABBIAMO ASSISTITO a un rallentamento tra la fine del 2023 e l’inizio del 2024: una frenata che in parte ci aspettavamo. Questo rallentamento delle imprese, infatti, si era già visto nella parte finale dell’ultimo anno e il trend dovrebbe continuare per i primi sei mesi di questo. Dopo rimbalzi importanti nel ‘21 e nel ’22, insomma, era naturale ci fosse un ribaltamento».
Valter Caiumi, al volante di Confindustria Emilia, traccia un bilancio del settore e provare a fare un quadro su scenari e prospettive, senza dimenticare però le sfide e le problematiche «che ancora sussistono». Un anno importante, dunque, che chiama l’Emilia-Romagna a fornire una risposta su determinati temi.
Presidente Caiumi, da cosa dipende questo ribaltamento secondo la sua visione?
«Negli ultimi anni ci sono stati fattori straordinari. Siamo un territorio che vive il mondo, questo dobbiamo ricordarcelo, e sussiste un lungo elenco di problematiche, che va dai trasporti ai componenti elettronici. Ancora oggi risentiamo dei rincari, dei carrelli che vanno all’insù e delle guerre tuttora in corso, che non vanno messe in secondo piano. Ci affacciamo al 2024 vedendo alla situazione in Ucraina e in Palestina: tutto questo può continuare a portare cambiamenti geopolitici importanti, proprio perché ormai c’è quasi l’abitudine a convivere con tutto questo».
Un impatto importante, dunque.
«In questi ultimi tre o quattro anni la politica e l’economia sono state chiamate ad affrontare sfide importanti, con reazioni forti e sobbalzi notevoli, ma non dove la finanza è più attenta e guardinga. Entriamo nel nuovo anno consapevoli che ci saranno determinati andamenti. Quindi sì, una flessione, un rallentamento, ma anche qualcosa di straordinariamente importante sotto il profilo umano. Non parliamo solo di numero, ma di vite: dobbiamo ricordarcelo».
Quali scelte strategiche è chiamata a compiere Confindustria Emilia?
«Andiamo avanti in questa direzione. Abbiamo la fortuna di poter contare sul nostro territorio, che è sensibile e intercetta i cambiamenti molto prima di altri, sempre con la consapevolezza di quanto accade. Nel nostro tessuto ci sono tante aziende che esportano in modo equilibrato. E c’è una cosa di cui vado molto orgoglioso».
Quale?
«Riceviamo tantissime info e sollecitazioni. Belle o brutte che siano vanno amministrate, perché ci permettono di continuare a essere bilanciati. È una fortuna che deriva anche dalle generazioni precedenti e quelle di oggi sono messe in condizione di stare in un tessuto produttivo efficiente. E c’è un altro aspetto, che riguarda gli Stati Uniti: le elezioni politiche».
Un altro elemento impattante che si inserisce in un contesto già delicato?
«Sembra che a livello economico avranno un impatto meno importante di quanto preventivato, ma anche se di poco creano una flessione, un risveglio e un inversione di tendenza. Potrebbero non trascinare la Cina, l’immobiliare potrebbe non avere lo stesso sprint. Ci sono anche altri aspetti legati alle trasformazione per il green deal, o sull’alimentare e tecnologie specifiche».
Di positivo cosa c’è?
«Il trend che riguarda la parte inflattiva».
Cosa racconta?
«Sembra ci siano buoni segnali, tra riduzione e potenziali incrementi per la parte energetica. Mi viene da dire, personalmente, che ancora non sono in corso grandi trasformazione, ma da qui a quando potrebbero accadere il passo è breve: basta guardare il Canale di Suez. Allora si potrebbe avere un altro rallentamento e l’inflazione potrebbe scendere meno».
Com’è stato gestito secondo lei il fenomeno inflattivo?
«Non era così scontato gestirlo e l’Europa c’è riuscita meglio degli Stati Uniti». Cos’altro si aspetta nei prossimi mesi? «Dopo tantissimi anni in cui si è lavorato come Comunità europea per costruire un mercato unico e una moneta unica, credo sia arrivato il momento di essere un continente unito. Oggi questo non succede».
Come mai?
«Siamo troppo passivi e slegati. Mi auguro che presto la Comunità europea arrivi a una politica di crescita e sviluppo dei mercati, ma che sia unitaria e con strategie che possano cambiare in modo attivo, non in maniera passiva».
E per quanto riguarda la sostenibilità?
«Io sono un importante sostenitore della tutela dell’ambiente e del green deal. Il nostro continente ha portato sempre grandi innovazioni grazie ad aziende e ricercatori, ora mi chiedo se determinate restrizioni messe in atto siano state così determinanti. C’è l’impressione di aver fatto i primi della classe e a volte può anche andare bene. Altre volte no. Una politica strategica e continentale, in questa visione, avrebbe potuto portare molto più contributo a questi progetti legati al green deal. Oggi non ci siamo riusciti perché continuiamo ancora a difendere i nostri orti».