«Tasse, credito Pnrr, investimenti. Dalla politica mi aspetto più coraggio»

Eugenio Massetti non ha più voglia di aspettare. I tempi e i riti della politica sono lenti, ma le imprese che lui rappresenta vogliono risposte. Ora. E il presidente di Confartigianato Imprese Lombardia, in carica fino al 2026, vede troppe nubi all’orizzonte di questo 2024 appena cominciato.

Presidente, quali sono le prospettive dell’economia italiana in generale e quella lombarda nel particolare?

«Siamo e restiamo ottimisti per natura, ma non possiamo nascondere i timori. Non dipende tutto da noi, pesa la congiuntura, a partire dalle due guerre in corso, soprattutto quella in Medio Oriente che incide sui traffici commerciali in generale e del petrolio in particolare. Partiamo con l’entusiasmo di sempre in questo 2024 perché siamo una categoria resiliente, sempre fiduciosi di superare i problemi. Ma le condizioni sono difficili e questo non possiamo nascondercelo…».

Esempi concreti delle difficoltà del momento e la lista delle priorità sulle quali la politica dovrebbe intervenire?

«Nell’ultima parte del 2023 tanti hanno già chiuso. E ora altri sono a rischio chiusura. Mentre gli enti locali sono in ritardo sul Pnrr, le aziende devono affrontare sempre più tasse e con meno credito. Un esempio, tra i tanti: Brescia e Varese, due delle province più virtuose, dove tante imprese legate al settore automotive stanno pagando già il peso della Germania entrata in recessione. E sono lasciate sole. Quindi, o le istituzioni cambiano atteggiamento o è dura continuare a investire con tassi d’interesse alle stelle e banche che tendono a chiudere i rubinetti del credito. Dalla politica mi aspetto più coraggio: che obblighino le banche a finanziare in tempi celeri le imprese artigiane, e che dia un taglio netto alle tasse. Le nostre aziende hanno pagato nel 2023 interessi per 1,4 miliardi di euro. Finora c’è stato il taglio del cuneo fiscale (la differenza tra la busta paga al lordo e il netto che finisce nelle tasche dei lavoratori, ndr) ai lavoratori, e va benissimo. Ma per le imprese cosa c’è? Quei 100 euro o giù di lì dati ai cittadini sono stati bruciati prima ancora che finissero nelle loro tasche, visti gli aumenti dei prezzi ovunque. Le imprese distribuiscono posti di lavoro e benessere sociale, e invece noi imprenditori ci sentiamo abbandonati. E ancora: sul fronte del costo dell’energia bisogna far qualcosa, come sulla tassazione generale che ormai – tra ritenute e Inps – tocca tranquillamente il 60% degli incassi. Meno tasse per consentirci di investire: questa è l’unica ricetta vera. E vorrei sapere dove è finito il ministero per la Semplificazione, il tema della lotta alla burocrazia. Sparito».

E l’Unione Europea?

«Vedo cecità sia da parte dei Governi che dell’Unione Europea. Una cecità “bipartisan“. Perché se non si capisce che le imprese artigiane sono il cuore del territorio, più ancora in certi luoghi come le montagne che rischiano di spopolarsi, allora siamo messi male. Il problema è pratico: io nella vita ho fatto anche l’amministratore pubblico, un tempo il partito ci faceva vedere cosa era un piano regolatore prima di entrare in Consiglio comunale. Si partiva dalle basi, si arrivava preparati alla politica. Ora tanti quasi si scusano: “Sa, siamo al primo mandato…”. Vedo in giro troppa impreparazione da parte della classe politica, troppa improvvisazione di fronte a problemi seri, che invece andrebbero affrontati avendo già studiato».

Facciamo il punto sul Pnrr, atteso da mesi come la panacea di tutti i mali. I fondi si stanno utilizzando bene e rischia di essere l’ennesima, grande occasione sprecata dall’Italia?

«Premetto che sono europeista per natura, ma qua mi sembra che gli enti locali stiano cercando di spendere tanto per spendere. Quei soldi del Pnrr sono lì, li abbiamo pagati all’Europa “pro quota“ e se non li spendiamo bene ci saranno altri Paesi che li useranno al posto nostro. Non devono servire a costruire stadi, piuttosto a promuovere la crescita, a potenziare la rete infrastrutturale – basti pensare come siamo messi qua in Lombardia -, a sistemare viadotti e gallerie».

Di recente il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara ha lanciato l’allarme: in Lombardia mancano 30mila lavoratori tecnici per altrettanti posti non coperti. Come si può migliorare l’incrocio fra domanda e offerta? Sul fronte educativo il “liceo del made in Italy“ può aiutare?

«Come sempre, sento troppi ministri esporre le analisi, ma quelle le facciamo già noi – e bene -, a noi ora servono soluzioni. Non serve il liceo del Made in Italy, di licei ne abbiamo già tanti. Piuttosto, sarebbe meglio finanziare le “scuole bottega“, i Centri Formativi Territoriali. Invece hanno smantellato l’apprendistato, strumento utile per formare in azienda giovani di talento, dicendo che era una scusa per gli imprenditori per pagare poco il lavoro. E ora? Bisogna preparare i ragazzi, noi mandiamo nelle scuole i gruppi giovani che parlano il loro linguaggio, a raccontare che fare impresa artigiana non è da sfigati, ma è un modo per costruire, per formarsi, affermarsi, guadagnare bene e soprattutto per realizzare i propri sogni. Vedo tanti di quei ragazzi, figli di artigiani, che magari vanno all’estero, poi vedono quel che c’è in giro – laureati con paghe da fame – e allora tornano in azienda, lavorano e spesso riescono a farla crescere. Le potrei citare 10 casi qui, su due piedi. Uno per tutti: a Passirano, in Franciacorta, un ragazzo ha preso in mano l’azienda artigiana dei suoi e l’ha fatta crescere. Abbiamo ragazzi formati, con laurea e confidenza con web e social, vanno oltre il diploma di terza media dei genitori, possono fare cose fantastiche».

Ma le culle sono vuote…

«Altro problema chiave per il futuro, la denatalità. Che si risolve solo se la politica aiuta le famiglie, i lavoratori. E per fare questo bisogna metter mano alla borsa, non alle chiacchiere».

Sentite già i primi effetti dell’abolizione del reddito di cittadinanza? Arrivano più curriculum alle aziende di giovani senza lavoro?

«No, non arrivano più curriculum vitae in azienda. Vedo solo tanta gente in giro, non formata, a caccia di lavoretti. Il risultato? Oggi l’azienda tipo è così fatta: la struttura produttiva con tante lacune e carenze perché non si trovano professionisti formati a dovere, i magazzini sono pieni di mulettisti e operai generici. Nulla contro di loro, massimo rispetto, ma la parte produttiva arranca. Detto questo, il reddito di cittadinanza è stata una misura sbagliata, a differenza del superbonus che, pur nato con buone intenzioni, è stato travisato».