«Le etichette sul vino, preoccupati dal silenzio dell’Europa»

«Sono brindisi amari quelli consumati nelle festività natalizie, a giudicare dai segnali che giungono dall’Unione europea. Il silenzio assenso della commissione europea rispetto alla norma con cui l’Irlanda introduce avvertenze sanitarie in etichetta per gli alcolici, disincentivando di fatto il consumo di vino, rappresenta infatti un pericoloso via libera ad allarmismi e disinformazione, nonché un precedente rischioso per l’Europa, andando contro la definizione dell’etichettatura comune».

Lo sottolinea Stefano Francia, presidente della CiaAgricoltori italiani dell’Emilia-Romagna, che con preoccupazione commenta il mancato intervento di Bruxelles in merito all’adozione della legge per gli «health warning» su vino, birra e liquori, da parte delle autorità di Dublino, superato il periodo di moratoria alla fine di dicembre.

Francia, che cosa può comportare questo ‘silenzio’?

«Si tratta di una mossa che sdogana l’autonomia decisionale dei singoli Paesi Ue e compromette il lavoro fatto finora a livello comunitario nell’ambito del Cancer Plan, proprio a tutela della salute dei cittadini, ma senza demonizzare il consumo moderato e responsabile di vino, da distinguere nettamente dall’abuso. Una minaccia per i vitivinicoltori dell’Emilia-Romagna, una regione che esporta all’incirca il 50% del vino».

Quali contromisure si possono adottare in questo senso?

«Chiediamo al governo italiano di sollecitare l’Europa sugli impegni già presi per promuovere uno stile di vita sano e una corretta informazione».

In tema di vino da alcuni anni la flavescenza dorata sta decimando parte del patrimonio viticolo regionale: che fare?

«Di recente il Parlamento, su nostra segnalazione, ha approvato un fondo che compensa, molto parzialmente, i danni provocati da questa malattia che colpisce i vigneti, specialmente di varietà lambrusco e pignoletto, e mette a rischio gli impianti non solo dell’Emilia-Romagna, ma anche dell’intera penisola. Si sta tuttavia agendo per trovare soluzioni nella genetica, ma al momento auspichiamo che sia riconosciuta un’ulteriore dotazione finanziaria, vista la gravità della situazione».

L’innovazione rappresenta un percorso obbligato, quindi?

«Direi che è inevitabile per poter proseguire l’attività ed essere competitivi, a maggior ragione le tecniche e la dotazione strumentale degli agricoltori devono essere compatibili con i nuovi indirizzi dettati dall’Unione europea. La nuova politica agricola comune impone infatti nuove misure per il contenimento delle emissioni inquinanti, causa del cambiamento climatico. Per questo le imprese si stanno adeguando. Gli esempi delle nostre imprese associate sono numerosi e in crescita: si va dai biodigestori aziendali, capaci di trasformare in energia pulita i reflui degli allevamenti, a impianti fotovoltaici che rendono autosufficienti dal punto di vista energetico le imprese, con zero emissioni».

La recente manovra è intervenuta anche con provvedimenti per il contrasto della fauna selvatica: ci sono novità?

«Un dettaglio importante è la revisione della legge 157/92 in materia venatoria, che specifica l’inclusione delle finalità di tutela riguardo alla biodiversità, l’incolumità pubblica e la sicurezza stradale, oltre alla possibilità per le Regioni di intervenire anche nelle zone vietate alla caccia, incluse aree urbane e aree protette».

Il lupo negli ultimi anni ha preso di mira, specialmente in Appennino, gli allevamenti: che cosa si può fare per salvaguardare queste attività agricole?

«In tutta la Penisola si stima una presenza di circa 3 milioni e 300mila lupi, con una densità importante in Emilia-Romagna. Puntiamo sulla prevenzione, ovvero aiuti per realizzare protezioni e per avere una dotazione di cani da guardia. Ma ci aspettiamo che sia attuato in tempi brevi un piano nazionale per il controllo e la gestione degli animali selvatici, che includa anche il lupo, in un’ottica di tutela della specie, ma anche di sopravvivenza delle attività agricole e pastorali».

Il fronte del lavoro: la legge finanziaria ha introdotto una nuova tipologia contrattuale in agricoltura, di che cosa si tratta?

«Per il 2023 il provvedimento sembra voler prevedere, in via sperimentale per il biennio 2023-2024, una nuova tipologia contrattuale determinata da esigenze di natura occasionale. Non ci sono ancora certezze, ma ritengo che tale novità non possa rappresentare la soluzione ai problemi evidenziati dal settore agricolo, che da anni auspica una semplificazione vera degli adempimenti e che si scontra sempre di più con una evidente ed allarmante carenza di manodopera».