La dura vita delle Pmi tra burocrazia e fisco. Ma c’è la chance Pnrr
I mercati azionari italiani sono tornati a splendere, dopo la gelata del 2020 dovuta alla fase acuta dell’emergenza sanitaria. Bastano poche cifre per fotografare lo stato dell’arte: nel 2021 la capitalizzazione di Piazza Affari è salita del 24,7% a quota 757 miliardi di euro, per un peso sul Pil italiano salito al 43,1% dal 37% del 2020. All’interno del mercato azionario ha fatto meglio di tutti il comparto delle Pmi, in particolare il segmento Star: l’indice Ftse Italia Star ha guadagnato infatti il 41,2%. Segno che la spina dorsale del Paese, la piccola media impresa, regge. E ancor meglio reggono le multinazionali tascabili lombarde, aziende abituate a correre tra le opportunità offerte dal mercato mondiale, che in questi anni difficili hanno saputo tenere alta la competitività pur se inserite in un sistema-Paese che troppo spesso le penalizza. Perché nessuna impresa, in Europa, deve superare le montagne della burocrazia come quelle alzate in Italia. Con una giustizia civile dai tempi biblici e dagli esiti incerti. Aziende immerse in una giungla di leggi che rallenta la corsa con lacci e lacciuoli. Ma ora, dietro l’ennesima curva disegnata dalla storia, c’è il bivio della vita: se l’Italia, con la locomotiva Lombardia, imbocca la strada di un uso intelligente dei fondi miliardari del Pnrr, lo sviluppo sarà duraturo e costruito su solide basi; se invece, come troppe volte già avvenuto in passato, il fiume dei fondi verrà disperso dalla politica in una serie di rigagnoli dall’amaro sapore di puro assistenzialismo (o peggio, clientelismo), allora l’Italia avrà perso un’occasione unica per svoltare. E imboccherà in modo inesorabile la strada tutta in discesa del declino, verso un futuro di debiti alti (che pagheranno i nostri figli) e scarsa competitività in un mondo sempre più agguerrito.