«Il fatturato aumenta ma viene annullato dai costi energetici»

Incertezza è la parola d’ordine di questo 2023. L’inflazione potrebbe frenare, ma i consumi sono al palo, con le famiglie alle prese con il caro bollette. Per i commercianti, anche quelli toscani, il momento non è dei più rosei, anche se qualcosa si sta muovendo soprattutto grazie al ritorno dei turisti nella nostra regione.

«Il problema delle imprese toscane in questo momento – commenta Aldo Cursano, presidente di Confcommercio Toscana – è la marginalità. Dopo due anni di pandemia vissuti a scarto ridotto, ora i fatturati ci sarebbero anche: la gente ha ripreso a muoversi e a consumare, è tornato alla grande anche il turismo nazionale e internazionale, in qualche caso abbiamo lavoro anche ben oltre le più rosee aspettative».

Ma i costi aumentano: secondo l’ultimo rapporto Irpet gli aumenti di prezzo, percepito dalle imprese toscane sia stato (costi complessivi 2022 su osti complessivi 2021) del +41% per il gas e del +89% per l’elettricità, con un incremento di costo complessivo dell’ordine di circa 350 milioni di euro al mese.

«E’così. Direi che i costi che dobbiamo sostenere, energetici e non solo, sono impazziti. Così, lavoriamo tanto – e di questo siamo molto felici – ma non guadagniamo. Perché gli incassi non bastano a farci rientrare nei costi. E’ il vero dramma di questi tempi. Le nostre imprese hanno adottato processi e standard qualitativi elevati, che passano per la professionalità e la competenza del personale qualificato, dal servizio, dall’attenzione alle materie prime e al prodotto. Ma tutto questo non è più compatibile con l’equilibrio tra conti e ricavi».

Questo modello virtuoso è a rischio?

«Sono realista. Oggi sta meglio in piedi il modello ’industriale’ delle catene, basato su grandi numeri, qualità standardizzata al ribasso, servizio spersonalizzato. Se vogliamo salvare l’anima del nostro sistema commerciale, l’unicità, la specificità e l’umanità del nostro modo di fare impresa bisogna tornare a puntare sul ’negozio’, dove accoglienza, assistenza, servizio rappresentano un’esperienza da salvaguardare. È un modello lontano dalla speculazione immobiliare, che avrebbe bisogno di sgravi sul costo del lavoro».

Anche perché gli stipendi restano bassi…

«L’Italia è prima in Europa per costo del lavoro e ultima sul fronte dei salari per i dipendenti: è evidente che qualcosa non vada in questo meccanismo, che ora come ora scontenta tutti e non fa crescere la nostra economia. Si mangia tutto lo Stato, ma se non lasciamo risorse alle famiglie e alle imprese la deriva è certa: il mercato interno è fermo, i consumi sono fermi, investire per crescere diventa un azzardo per tante aziende».

Cosa serve per uscire dall’impasse?

«Un primo passo, oltre al cuneo fiscale, che dovrebbe ridurre la forbice tra quello che paghiamo e quello che finisce in tasca a chi lavora nel nostro settore, potrebbe essere estendere al terziario i tanti benefici di cui gode l’industria. Ne abbiamo abbastanza di un Paese dove l’economia ha figli e figliastri. Il terziario, lo dicono i dati, ormai è la voce maggioritaria nella bilancia economica nazionale sia per la ricchezza prodotta, sia per il numero di occupati e di imprese. Vogliamo più attenzione».

A livello regionale questa attenzione c’è?

«Non si cambia mentalità in un lampo, c’è un processo lento, ma a livello regionale ci sentiamo più ascoltati, abbiamo spazio per dire la nostra e modificare le cose che vanno cambiate. In Toscana è la piccola impresa ad aver modellato città e territorio; non tenerne conto equivarrebbe a distruggere il nostro dna e quella qualità di vita che tutti ci invidiano».

Quali obiettivi vorreste raggiungere nel 2023?

«Di questioni irrisolte ce ne sono diverse. Penso ai balneari, ancora in bilico con la storia delle concessioni demaniali, o alla situazione assurda che stanno vivendo i fornitori di materiale sanitario, costretti da una legge iniqua, quella sul payback, a restituire fino al 98% del fatturato alle Regioni che hanno sforato il tetto della spesa sanitaria. Un giochino assurdo che, se non si troverà una via d’uscita, potrebbe costare alla sola Toscana il sacrificio di 300 imprese e 7.900 lavoratori, senza contare i disservizi nel servizio sanitario in termini di irreperibilità di strumenti sanitari, protesi e quanto altro. Abbiamo parlato con il governatore Giani e ci ha mostrato grande attenzione, ma le cose vanno risolte a livello centrale. In fondo questa è una storia paradigmatica: lo Stato usa le imprese private per ripianare i buchi di bilancio o per fare cassa e non si accorge di tagliare il ramo su cui sta seduto».